LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Vincenzo BALDASSARRE Presidente
" Vincenzo PROTO Consigliere
" Giulio GRAZIADEI "
" Giuseppe Maria BERRUTI Rel. "
" Salvatore DI PALMA "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
LEGO SYSTEM A-S, in persona dei legali rappresentanti pro tempore,
LETO SpA, in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliati in ROMA VIA DI PORTA PINCIANA 6, presso
l'avvocato MICHELE GIORGIANNI, che li rappresenta e difende
unitamente agli avvocati RICCARDO LUZZATTO, GIUSEPPE SENA, PAOLA
TARCHINI, giuste procure speciali: la prima per Notaio Layla Kunst di
Veijle - Danimarca - del 21.8.1995; la seconda per Notaio Elena Pala
Saronno rep. 8168 del 9.6.1995;
Ricorrenti
contro
TYCO INDUSTRIES INC.,
ARCO FALC Srl;
Intimati
avverso la sentenza n. 3550-94 della Corte d'Appello di MILANO,
depositata il 30-12-94;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
15-10-97 dal Consigliere Dott. Giuseppe Maria BERRUTI;
udito per i ricorrenti, l'Avvocato Sena, che ha chiesto
l'accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
Vincenzo GAMBARDELLA che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
Fatto
La Arco Falc S.r.l. conveniva davanti al Tribunale di Milano la Lego S.p.A. precisando di essere distributrice per l'Italia della Tyco Industries Inc., società statunitense, e che intendeva in tale veste commercializzare una linea di giocattoli di costruzioni.
Precisava che componente essenziale di tali costruzioni erano i mattoncini di plastica di vari colori e dimensioni, accoppiabili l'uno con l'altro mediante incastro. Tali mattoncini erano di forma parallelepipeda e muniti di perni tubolari sporgenti, in posizione da consentire l'incastro reciproco e dunque la costruzione salda e stabile di figure geometriche. Precisava pure che tali mattoncini erano tecnicamente equivalenti ed integrabili con quelli già commercializzati dalla Lego S.p.A. la quale aveva minacciato azioni legali, volte a inibire la messa in commercio da parte di essa esponente. Precisava che il proprio prodotto non violava alcuna privativa della convenuta e chiedeva che il giudice adito dichiarasse la piena legittimità della commercializzazione alla quale essa si apprestava.
Resisteva la S.p.A. Lego ed in via riconvenzionale chiedeva che la messa in commercio da parte dell'attrice dei predetti mattoncini fosse dichiarata in violazione dei suoi diritti e comunque integrasse una concorrenza sleale.
Con atti successivi la Lego System As con sede in Danimarca e la Lego S.p.A. convenivano davanti al medesimo Tribunale la Arc Falc S.r.l. precisando che la Lego System era nota in tutto il mondo per la produzione dei giochi di costruzione, basati sui predetti mattoncini la cui caratteristica essenziale sono i perni sporgenti ai lati, in posizione tale da consentire ad identici mattoncini di integrarsi tra loro per dare vita a varie configurazioni geometriche.
Precisavano che l'elemento fondamentale, che realizza la aderenza tra i mattoncini, è la distanza tra il centro dei vari montanti e che nel tempo sono state introdotte modifiche tali da rendere migliore tale aderenza, pur sfruttando la medesima idea. Precisavano ancora che gli elementi da costruzione suddetti presentano una forma individualizzante, ad esse conferita dalla disposizione tecnicamente essenziale de perni predetti, e che la Tyco Industries da alcuni anni aveva iniziato con il nome Block la produzione di elementi del tutto identici messi in commercio dalla Arco nel nostro paese. Chiedeva quindi che la Arco Falc e la Tyco Industries fossero dichiarate responsabili di concorrenza sleale ai sensi dell'art. 2598 n. 1 c.c., che fossero condannate al risarcimento dei danni e che fosse ad esse inibito l'ulteriore commercializzazione senza l'introduzione sui prodotti in questione delle varianti necessarie ad evitare la confusione presso il consumatore.
Tyco e Arco resistevano. Le due cause venivano riunite ed il Tribunale di Milano dichiarava che la produzione di Tyco e di Arco e la conseguente commercializzazione in Italia non costituiva concorrenza sleale ai danni di Lego System e Lego Italia S.p.A..
Proponevano appello le soccombenti e la Corte di Milano lo respingeva. Il secondo giudice rilevava nella specie, attraverso l'esame delle descrizioni del brevetto scaduto, che un tempo rendeva esclusivo lo sfruttamento da parte delle appellanti della idea in questione, la ipotesi di forme funzionali. Riteneva infatti essenziale al risultato di garantire l'aderenza tra i mattoni, e dunque la loro componibilità, una certa disposizione dei perni sui lati capace per ciò stesso di conferire al prodotto una specifica forma, inevitabile quindi per il raggiungimento del predetto risultato. Riteneva pertanto che, non essendovi più protezione esclusiva di quella forma funzionale a seguito della verificata scadenza del brevetto a suo tempo ottenuto, essa fosse liberamente adottabile da qualunque concorrente nel medesimo mercato. Negava peraltro che la riproduzione avesse dato luogo ad imitazione servile di cui al primo comma dell'art. 2598 c.c., giacché la confondibilità veniva evitata dalla differenziazione degli involucri, e dai marchi differenti su di essi apposti, mediante i quali i prodotti stessi venivano messi in commercio. Negava sotto tale profilo ogni rilievo alla pacifica identità dei mattoncini.
Secondo la Corte una tutela così ampia, come pretesa dagli appellanti, e riferentesi anche al momento successivo alla estrazione del prodotto dal contenitore ed alla sua utilizzazione per dare vita a costruzione, anche unitamente a consimili prodotti provenienti da altro imprenditore, non sarebbe desumibile dalle norme che disciplinano il corretto esercizio della concorrenza.
Propongono ricorso per cassazione con due motivi la Lego System As e la Lego S.p.A.. Quest'ultima ha depositato memoria.
Diritto
1) Con il primo motivo di ricorso la Lego System As e la Lego S.p.A. denunziano la violazione dell'art. 2598 c.c. e la motivazione insufficiente e contraddittoria su punti essenziali della controversia. Lamentano che erroneamente il concetto di forma necessaria sia stato considerato senza alcun riguardo alla possibilità di introdurre nel prodotto modifiche innocue, cioè incapaci di mutarne la funzione ma capaci di evitare la confondibilità nel mercato. Erroneamente la corte di merito ha ritenuto legittima la interscambiabilità dei prodotti di una imitazione servile, che nulla ha a che vedere con la riproduzione di una forma funzionale in tutti i suoi aspetti, anche non necessari.
Con il secondo motivo, che è connesso al primo e deve pertanto essere esaminato congiuntamente, le due ricorrenti lamentano ancora la violazione dell'art. 2598 c.c.. Ritengono che erroneamente la corte abbia ritenuto sufficiente l'apposizione del marchio sulla confezione del prodotto per evitare la confondibilità ed escluso un obbligo di differenziazione del prodotto stesso che andasse oltre il momento dell'acquisto. Nella specie infatti si tratta di giocattoli i cui consumatori sono i bambini, i quali non danno rilievo al segno commerciale ma semplicemente alla attitudine del prodotto di essere indifferenziato rispetto a quello dell'originario primo produttore.
Lamentano ancora la motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria sui predetti punti decisivi.
2) Osserva il collegio che una forma funzionale, o necessaria, tale cioè da non potere essere evitata senza con ciò compromettere la funzione realizzata dal modello, pone in essere contestualmente un preciso elemento individualizzante nel mercato. Il modello si identifica, segno commerciale a parte, perché la sua forma, dichiarando e rendendo possibile la funzione che costituisce il cuore della idea, è, in quanto tale, inconfondibile. Consegue che fuori delle ipotesi nelle quali vi è una privativa a tutela di quella funzione e di quella forma, se la funzione è liberamente riproducibile, lo è anche la forma che necessariamente la realizza.
2a) Nella specie è pacifico che i mattoncini Lego realizzano la funzione della compatibilità reciproca mediante un certo posizionamento dei perni, ovvero mediante la posizione e la dimensione di tali elementi, che permettono all'utente di incastrarli tra loro per dare luogo a costruzioni progressive di solidi geometrici. I perni, la loro dimensione, che ripete una precisa proporzione del volume del mattoncino, la distanza tra i rispettivi centri, realizzano l'idea che è alla base della componibilità e perciò stesso impongono a fabbricante una specifica forma del mattoncino, ovvero che questo consista in uno specifico solido.
Problema sottoposto alla Corte dunque è stabilire se il mattoncino sia liberamente riproducibile nel mercato così come Lego, originario produttore, già titolare esclusivo della idea che la forma stessa ha imposto, tuttora continua a fabbricare.
Osserva il collegio che forma di un modello dal punto di vista giuridico è tutta la sua veste esteriore, la quale include oltre alla corrispondenza ad uno specifico solido geometrico, anche il colore adottato per la commercializzazione e le sue dimensioni e quindi eventuali altri particolari non necessari alla realizzazione della funzione. Nel caso di specie risulta accertato che i mattoncini Tyco sono perfettamente identici a quello Lego. Essi cioè ne riproducono la funzione dentro una forma copiata al punto da risultare indistinguibili, ovvero compatibili con quelli Lego. Orbene ritiene il collegio che a Tyco è consentito, non essendovi privative a tutela dello sfruttamento esclusivo della idea, di fabbricare analoghi mattoncini riproducenti appunto la medesima funzione di reciproca incastrabilità, a diversa conclusione si deve giungere ove ci si chieda se possa altrettanto liberamente, ovvero in via di principio, dare vita a modelli esattamente identici senza prima accertare se la aggiunta o la sottrazione di particolari differenzianti sia possibile senza compromettere la predetta funzione.
3) La sentenza impugnata fa giungere la libera riproducibilità della funzione, sulla quale non vi è esclusiva di sfruttamento, fino ad una sostituibilità totale di un modello componibile. Risolvendo quindi il problema della confondibilità con il richiamo alla differenziazione, anche mediante marchiatura, degli involucri nei quali essi vengono offerti al mercato. La soluzione nasconde un equivoco, e sostanzialmente trascura il ruolo della proibizione di cui all'art. 2598 c.c. n. 1 relativa all'imitazione servile.
La sostituibilità indifferenziata nel nostro sistema può essere conseguente solo alla verificata impossibilità di differenziare senza compromettere la funzione, e non consegue automaticamente, come sembra ritenere la Corte di merito, alla riproducibilità della funzione. È lecito copiare l'idea funzionale altrui, ma non è lecito copiare anche quelle forme la cui riproduzione porrebbe in essere semplicemente la indistinguibilità dei prodotti nel mercato, così da consentire a chi copia non solo, come è suo diritto, di avvantaggiarsi della idea, ma anche dell'altrui avviamento. È per l'appunto questo il discrimine che giustifica la teoria della variante non funzionale o innocua, accettata dalla giurisprudenza: la legge, se deve evitare il perpetuarsi di un monopolio di sfruttamento oltre la fisiologica durata di una privativa, non può tuttavia, in via di principio, consentire un vero e proprio storno del frutto dell'altrui investimento. Siffatta soluzione finirebbe con l'essere essa anticoncorrenziale, perché toglierebbe un presupposto della competizione nel mercato, che è la possibilità di conquistare, secondo regole di correttezza commerciale, la clientela. La norma dell'art. 2598 c.c, infatti, premessa nel suo preambolo la distinzione delle regole che introduce con quelle che riguardano le tutele brevettuali, al n. 1 vieta la confusione nel mercato che può essere indotta, tra l'altro, con la imitazione servile del prodotto altrui. Ipotesi che si affianca a quella dell'uso del segno che può produrre confusione, e che, dato il preambolo che si è detto, realizza una tutela diversa e concorrente a quella cosiddetta brevettuale. Perciò, a parte quanto più innanzi si dirà in ordine alla efficacia nella specie della differenziazione degli involucri, comunque la diversità di ambito della tutela in questione deve far concludere per la autonomia del divieto di imitazione servile.
Fattispecie che la legge non esclude per alcun tipo di modello, inclusi quelli che richiedono una forma funzionale. Consegue che l'oggetto specifico della tutela concorrenziale di cui all'art. 2598 c.c., ovvero la tutela dell'avviamento e della produttività della impresa concorrente, esclude che si possa ritenere riproducibile un modello sulla base della sola considerazione della sua forma funzionale, e richiede che si accerti se la complessiva forma del medesimo possa sopportare variazioni innocue, ovvero capaci esclusivamente, senza dunque alcun effetto funzionale, di differenziare il prodotto presso il consumatore.
4) Non va confusa la fattispecie in esame con quella del pezzo di ricambio. Il ricambio infatti, se non esistono privative che lo impediscono, è liberamente riproducibile perché va fisiologicamente a comporre un certo insieme del quale deve necessariamente ripetere quel particolare della forma. Esso è cioè esclusivamente destinato ad una funzione di sostituzione e dunque deve rimanere, se intende essere prodotto industriale compatibile con quell'insieme, eguale a se stesso.
Situazione tutt'affatto diversa si presenta laddove, come nel caso in esame, il modello è costituito da un modulo componibile che non ripete uno standard imposto dalla sua destinazione fisiologica, ma piuttosto che deve, per realizzare una funzione, assumere certe forme. In tal caso il produttore è tenuto a sperimentare la possibilità di addurre varianti che, pur distinguendolo da quello del produttore che per primo realizzò tale forma individualizzante, evitino la confondibilità nel mercato. Il concorrente insomma ha diritto a realizzare egli stesso analoga compatibilità tra i "propri" mattoncini, così da dare vita ad identica funzione di componibilità. Non può, salvo non sia inevitabile per ripetere la funzione, pretendere di mettere in commercio prodotti capaci di essere compatibili con quelli del concorrente, perché ciò gli consentirebbe di avvantaggiarsi oltre che della idea, anche di quanto, sfruttando quella idea, il suo concorrente è riuscito a conseguire in termini di avviamento. Risultato questo evidentemente contrario alla logica del divieto di concorrenza sleale, (Cass. nn. 1667 del 1988; 5662 del 1986; 4222 del 1985).
La Corte di merito, come si è cennato, ha ritenuto capace di evitare la confusione tra i prodotti identici la differenziazione degli involucri mediante i quali la commercializzazione avviene. Ma tale opinione oltre a rischiare di confondere i cennati diversi ambienti della tutela cosiddetta brevettuale, ovvero la tutela dei segni con quella concorrenziale, trascura di notare che una differenziazione dei segni non elimina la imitazione servile del prodotto, se essa esiste. Tanto più in una fattispecie nella quale ciò che conta per il consumatore di giochi, che può essere il bambino, ma non è detto non possa essere un adulto in grado di percepire la diversità del segno, è la compatibilità che si è detta. Pertanto la omissione da parte della Corte di merito di un accertamento circa la possibilità di dare vita ad una differenziazione del prodotto, innocua rispetto alla funzione, ma capace di evitarne la totale copiatura, ha in sostanza escluso in via di principio, e perciò arbitrariamente, la configurabilità della imitazione servile in ordine a modelli di utilità che ripetono forme funzionali.
6) Le doglianze sono, per tali aspetti, fondate. Il ricorso deve essere accolto, la sentenza impugnata deve essere cassata, e la causa deve essere rinviata ad altro giudice del merito che la deciderà accertando, alla stregua del principio che si è ribadito, la possibilità di apportare le predette varianti al prodotto in questione, e dando conto in motivazione dell'avvenuto accertamento.
Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese di questa fase.
P.Q.M
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte di Appello di Milano.
In Roma il 15 ottobre 1997.